EL COMENTARIO DEL PADRE HUGO VALDEMAR: SEMANA SANTA… ¡NO HAY FRACASO!

La celebración del Viernes Santo, primer día del Triduo Sacro, está enteramente centrada en la muerte de Cristo en la Cruz. “¡Oh cruz fiel, árbol único en nobleza! Jamás el bosque dio mejor tributo en hoja, en flor y en fruto!”.

La Carta a los Hebreos nos ayuda a profundizar en el sentido de esta muerte: Cristo, “a pesar de ser Hijo, aprendió, sufriendo, a obedecer. Y, llevado a la consumación, se ha convertido para todos los que obedecen en autor de salvación eterna” (cf Hb 5,7-9).

El sufrimiento, la obediencia, la salvación. Tres palabras esenciales para comprender el carácter sacrificial de la muerte del Señor. Cristo es el Sumo Sacerdote, el mediador entre Dios y el pueblo, que ofrece a Dios el sacrificio perfecto de sí mismo, el homenaje filial de su obediencia.

En la Pasión según San Juan, Pilato presenta a Jesús a la muchedumbre con esta expresión: “Aquí tenéis al hombre”. Ese hombre desfigurado, torturado, es el hombre ideal, el hombre perfecto, el segundo Adán. El sufrimiento de Jesús es, en cierto sentido, la consecuencia de su obediencia. En un mundo marcado por el pecado, por el rechazo de Dios, por la rebelión frente a Él, la obediencia de Cristo aparece como una provocación insoportable, merecedora de la muerte. El Señor carga sobre sí, en forma de sufrimiento, todos nuestros pecados, los hace suyos para transformarlos con el poder de su docilidad al Padre.

Parece, de algún modo, que el proyecto de Dios fracasó con Adán y con nosotros, descendientes suyos. Al “sí” de Dios, que nos llama de la nada al ser, que nos crea a su imagen y semejanza, se contrapone el “no” de Adán y nuestro propio “no”; a la oferta de diálogo divino, el hombre responde con el uso perverso de su libertad y con la desconfianza, en un intento inútil de querer ser dios contra Dios.

Benedicto XVI ha comentado, en una bellísima homilía, que Dios, en realidad, no fracasa: “Dios ‘fracasa’ en Adán, como fracasa aparentemente a lo largo de toda la historia. Pero Dios no fracasa, puesto que él mismo se hace hombre y así da origen a una nueva humanidad; de esta forma enraíza el ser de Dios en el ser del hombre de modo irrevocable y desciende hasta los abismos más profundos del ser humano; se abaja hasta la cruz. Ha vencido la soberbia con la humildad y con la obediencia de la cruz” (7.IX.2006).

Dios vence la soberbia con la humildad de su cruz. La salvación del hombre, el auténtico logro de su vida, no se alcanza contra Dios, sino con Dios y en Dios. Éste es el mensaje del Viernes Santo: Abrirnos a Dios, hacer de Él el verdadero centro de nuestras vidas, el firme fundamento de nuestra humanidad y de nuestra realización. Un objetivo que Dios mismo, en el abajamiento de su Hijo, ha puesto a nuestro alcance.

Guillermo Juan Morado

Io, sacerdote sospeso a divinis, dico: superiori miei carissimi, svegliatevi!

Cari amici, ho ricevuto da un religioso, il padre Gabriele Rossi dei Figli dell’Amore Misericordioso, la lettera che trovate qui sotto. È una lettera aperta a Benedetto XVI, scritta con il cuore nel Giovedì Santo da un sacerdote sospeso a divinis perché ha espresso apertamente le sue idee sull’attuale situazione della Chiesa cattolica. Nel ringraziare l’autore, vi propongo la lettera con un pensiero per tutti i sacerdoti che in questo giorno santo rinnovano le promesse fatte al momento dell’ordinazione.

«Benedetto (è) Colui che viene nel nome del Signore» (Sal 118,26)

Beatissimo Padre, spero vorrà perdonare il mio ardire.

Sono un sacerdote religioso di 62 anni, sospeso a divinis per i motivi che poi le dirò. Le scrivo in questa forma pubblica perché non ho nessuna possibilità di parlare con lei di persona; e perché vorrei dare voce a tanti altri sacerdoti e religiosi che, per gli stessi motivi, sono stati silenziati e accantonati, più o meno come me.

Gli Appunti

Le scrivo per ringraziarla della stesura e, soprattutto, della pubblicazione dei suoi Appunti, relativi alla questione degli abusi sessuali nella Chiesa. [1]

Le confesso che, al là dei contenuti drammatici che questi fogli cercano di affrontare, la loro lettura meditata mi ha prodotto un senso di profondo sollievo, come una sorta di liberazione interiore. E ciò per due motivi: perché essi ci dimostrano – qualora ce ne fosse stato bisogno – che lei continua a seguire con la massima attenzione tutte le vicende della Chiesa; e perché ci offrono diversi insegnamenti davvero magistrali: alcuni diretti ed espliciti, altri velati ma ugualmente decifrabili.

Da una parte infatti gli Appunti trattano dei suddetti abusi, ne descrivono le cause scatenanti e gli effetti mortiferi, ne indicano l’unica soluzione possibile (il ritorno a Dio), e danno dei suggerimenti a livello di procedura canonica. E va bene…

Dall’altra però gli Appunti – nonostante la loro veste dimessa – ci regalano le risposte ai principali dubbi e quesiti che durante questi ultimi anni hanno travagliato la vita della Chiesa, e ai quali nessuno ha voluto rispondere in modo ufficiale.

«Un vero atto di governo», secondo alcuni. «L’unico documento cattolico, da sei anni a questa parte», secondo altri. Da qui il profondo sollievo di cui le dicevo.

Le due vie

Confrontando le considerazioni degli Appunti con le indicazioni pontificie che attualmente dettano legge, se ne ricavano due impostazioni di fondo profondamente diverse e contrapposte. Si ha l’impressione di essere giunti davanti a un bivio dal quale si diramano due strade: una che, scendendo verso il basso, diventa sempre più ampia e paludosa; l’altra che, inerpicandosi su per la montagna (in cima alla quale – se non vado errato – dovrebbe trovarsi «una grande croce»), [2] diventa sempre più stretta e rocciosa. E intanto sembra di udire le parole del Vangelo: «Entrate per la porta stretta, perché larga è la porta e spaziosa la via che conduce alla perdizione, e molti sono quelli che vi entrano. Quanto stretta è la porta e angusta la via che conduce alla vita, e pochi sono quelli che la trovano!» (Mt 7,13-14). Provo a spiegare il concetto.

Qui – negli Appunti – si dichiara che gli abusi, specie quelli sui minori, sono il frutto finale della rivoluzione sessuale del 1968, della diffusione criminale della pornografia e della legittimazione teorica e pratica dell’omosessualità, anche in ambienti di Chiesa. / Lì invece – nel magistero attuale – si dà la colpa a un non meglio precisato clericalismo; e si incoraggia in tutti i modi la formazione di gruppi di cattolici Lgbt.

Qui si difende a spada tratta la Veritatis splendor di Giovanni Paolo II e si insegna che, avendo la morale un carattere oggettivo, ci sono delle azioni cattive che mai possono diventare buone, neppure se la coscienza personale lo pretendesse. / Lì invece si boicotta in tutti i modi il suddetto documento; e si adotta spudoratamente l’etica della situazione, la quale non considera l’azione in se stessa, ma giudica caso per caso, in base agli scopi dell’agire individuale e alle possibili cause esimenti.

Qui si ribadisce che l’Eucaristia è la presenza viva e reale in mezzo a noi della passione, morte e risurrezione del Signore; e ci si preoccupa per il declassamento irriverente che essa patisce in molte occasioni. / Lì invece si tende a eliminare anche i segni esteriori dell’adorazione (salvo poi inginocchiarsi goffamente e penosamente davanti a chiunque); e si pretende di ammettere alla Santa Comunione anche i divorziati risposati che vivono more uxorio, nonché i coniugi protestanti di fedeli cattolici.

Qui si risponde chiaramente e autorevolmente a ognuno dei cinque dubia del 2016, formulati dai quattro cardinali per tamponare la confusione dottrinale e pastorale prodotta da Amoris laetitia. / Lì invece non si è stati capaci di farlo, giocando di proposito sull’ambiguità di certe noticine del documento, al fine di avviare processi di stravolgimento a macchia di leopardo e mettere tutti davanti al fatto compiuto.

Qui si dichiara che il martirio, in quanto vertice della testimonianza dovuta al Signore, «è una categoria fondamentale dell’esistenza cristiana»; e si rende onore ai martiri di tutti i tempi, testimoni del Dio vivente; / Lì invece si insegue supinamente il consenso del mondo; si denuncia in maniera strumentale il pericolo del proselitismo missionario e si diluisce il cattolicesimo romano in una utopica fratellanza umana, intesa come una sorta di nuova religione universale, amorfa e incolore.

Ecco, queste sono le due vie che attualmente si aprono davanti a noi.

Continuità o rottura?

Beatissimo Padre, io non pretendo di insegnare niente a nessuno, tanto meno a coloro che sono più in alto di me. Ho però la vaga sensazione che le due impostazioni di cui sopra siano radicalmente inconciliabili, perché opposte tra di loro. E ciò lo si poteva capire fin dal 2016, solo che uno avesse analizzato con attenzione il famoso capitolo VIII di Amoris laetitia. E infatti, proprio a partire da quella data, anch’io – come tanti altri – ho iniziato a manifestare le mie perplessità sul nuovo corso teorico e pratico che si voleva imporre alla Chiesa; finché nel dicembre scorso, per questi precisi motivi, mi è stata inflitta la sospensione a divinis da parte dei miei superiori maggiori.

Per molti queste preoccupazioni interpretative sono del tutto esagerate, perché si potrebbe – anzi si dovrebbe – salvare capra e cavoli. Per altri invece – me compreso – qui non siamo in presenza di una sostanziale continuità tra il magistero di ieri e quello di oggi, ma dinanzi a una drammatica rottura nella trasmissione e nello sviluppo dello stesso. E che quest’ultimo sospetto sia ben fondato, lo deduco anche dal fatto che negli Appunti, per ben quattro volte, si allude alla pretesa che alcuni avrebbero di «creare o inventarsi un’altra Chiesa». E chi saranno mai questi misteriosi personaggi?

Superiori miei carissimi, svegliatevi! Come si fa a non raccogliere un appello di questo tipo, da parte di un Sommo Pontefice che rimane tale davanti a Dio e davanti agli uomini e che, spinto dalla sua coscienza, si vede costretto a parlare di nuovo a quei figli che la Divina Provvidenza ha affidato alle sue cure pastorali?! Come si fa?!

E che dire poi del Manifesto della fede, pubblicato dal cardinale Müller nel febbraio scorso, a difesa appunto di una corretta trasmissione della fede cattolica, minacciata su tutti i fronti da un presunto primato della pastorale sulla dottrina?! [3]

Svegliatevi! E smettetela di essere ciechi che guidano altri ciechi (cfr. Mt 15,14), preoccupati solo di compiacere i potenti di turno, per avere a oltranza fette di potere! Voi non avreste alcun potere, se non vi fosse stato dato dall’alto (cfr. Gv 19,11)!

Oggi, Giovedì Santo

Beatissimo Padre, quest’anno – vista la mia sospensione canonica – non me la sono sentita di partecipare alla Messa crismale, con il vescovo e tutti gli altri preti diocesani e religiosi, celebrata nel duomo di questa città ieri sera, vigilia del Giovedì Santo; e quindi non ho avuto modo di rinnovare le promesse previste dal rito.

Con il suo permesso, vorrei farlo idealmente in questo istante. Perciò vengo con il pensiero e con il cuore alla sua presenza, bacio la sua mano e il suo piede, e confermo nelle sue mani le mie promesse sacerdotali. E dato che ci siamo, rinnovo anche i miei voti religiosi e la mia adesione al magistero ufficiale della Chiesa, così come si è cristallizzato nel Catechismo della Chiesa cattolica, promulgato da Giovanni Paolo II.

Spero che il Signore gradisca il tutto; e spero che lo gradisca anche lei.

Beatissimo Padre, nel chiedere la sua paterna benedizione, vorrei assicurarle la mia povera preghiera, specie nella Santa Messa, dove di regola pronuncio anche il suo nome: il Signore e la Vergine Santa le concedano vigore fisico e spirituale per affrontare il tratto finale di questa ripida salita, fin sotto «la grande croce». Con l’aiuto del Cielo, anche noi cercheremo di salire insieme con lei, senza voltarci indietro.

Santità, auguri vivissimi per il suo compleanno e per l’anniversario della sua elezione pontificia! E buona Pasqua di Risurrezione, a lei… e a tutta la Chiesa!

Padre Gabriele Rossi, FAM

Fermo, 18 aprile 2019, Giovedì Santo

[1] Cfr. BENEDETTO XVI, La Chiesa e lo scandalo degli abusi sessuali, 11 aprile 2019.

[2] Cfr. CDF, Il Messaggio di Fatima / Terza parte del “Segreto”, 26 giugno 2000.

[3] Cf. GERHARD MÜLLER, Manifesto della Fede, 8 febbraio 2019.
https://www.aldomariavalli.it/2019/04/18/io-sacerdote-sospeso-a-divinis-dico-superiori-miei-carissimi-svegliatevi/?fbclid=IwAR107PxPZegGmyqIsCIeYhdrY_ei3pvgwz6PaTtQAkBu3V_DpmSJndAcye0

Ave crux, spes única.

https://www.cejc-madrid.org/index.php/es/juan-pablo-ii/item/218-juan-pablo-ii-discurso-b-nai-b-rith-22-marzo-1984

Juan Pablo II – Discurso B’nai B’rith 22 marzo 1984
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DISCURSO DEL SANTO PADRE A DIRIGENTES DE LA LIGA

ANTIDIFAMACION “B’NAI B’RITH”

22 de marzo 1984

Queridos amigos:

Me hace muy feliz recibirles aquí en el Vaticano. Son ustedes un grupo de dirigentes nacionales e internacionales de la conocida Asociación judía establecida en Estados Unidos y floreciente en muchas partes del mundo, incluida Roma, Liga Antidifamación “B’nai B’rith”. Asimismo están muy en contacto con la comisión para las Relaciones Religiosas con el Judaísmo, fundada hace diez años por Pablo VI con el objetivo de fomentar las relaciones entre la Iglesia Católica y la Comunidad judía a nivel de nuestro compromiso respectivo de fe.

El mero hecho de que hayan venido a visitarme -y de ello les estoy muy agradecido- es en sí una prueba del incremento y profundización constantes de dichas relaciones. Claro está que cuando se mira atrás, a los años anteriores al Concilio Vaticano II y a su Declaración Nostra Aetate, y se quiere abarcar la obra realizada desde entonces, uno tiene el sentimiento de que el Señor ha hecho “grandes cosas” por nosotros (cf. Lc 1,49). Y, por tanto, nos llama a unirnos en un acto de cordial agradecimiento a Dios. El verso del comienzo del Salmo 133 es adecuado: “Ved cuán bueno y deleitoso es habitar en uno los hermanos”.

Porque, como he dicho con frecuencia desde el comienzo de mi servicio pastoral de Sucesor de Pedro, pescador de Galilea (cf. Alocución del 12 de marzo de 1979), queridos amigos, el encuentro de católicos y judíos no es coincidencia de dos antiguas religiones yendo cada uno por su camino y en lucha grave y dolorosa no pocas veces en tiempos pasados. Es una reunión de “hermanos” y, como dije a los representantes de la Comunidad judía alemana en Maguncia (11 noviembre de 1980), un diálogo “entre la primera y la segunda parte de la Biblia”. Y al igual que las dos partes de la Biblia son diferentes, pero están relacionadas íntimamente, también lo están en el pueblo judío y en la Iglesia Católica.

Esta cercanía se ha de manifestar de muchos modos. El primero de todos, en el respeto hondo de la identidad de cada uno. Cuanto más nos conocemos, más aprenderemos a aceptar y respetar nuestras diferencias.

Pero respeto no significa esquivez ni es equivalente a indiferencia, y éste es precisamente el gran reto que estamos llamados a afrontar. Por el contrario, el respeto de que hablamos está fundado en un vínculo espiritual misterioso (cf. Nostra Aetate, 4), que nos acerca en Abraham y, por medio de Abraham en Dios, que eligió a Israel y de Israel hizo surgir la Iglesia.

Sin embargo, este “vínculo espiritual” entraña gran responsabilidad. Cercanía unida a respeto quiere decir confianza y franqueza, y excluye totalmente desconfianzas y sospechas. Convoca asimismo a interés fraterno por cada uno y por los problemas y dificultades que afrontan cada una de nuestras comunidades religiosas.

La comunidad judía en general y su organización en particular, como su nombre indica, tienen mucho que ver con formas antiguas y nuevas de discriminación y violencia contra los judíos y el Judaísmo, llamadas corrientemente antisemitismo. Incluso antes del Concilio Vaticano II, la Iglesia Católica (cf. S. Congregatio Sti. Ufficii, 3 marzo de 1928; Pío XI a los periodistas belgas de la radio, 6 de septiembre de 1938) condenó tal ideología y práctica por ser contrarias no sólo a la confesión cristiana, sino también a la dignidad de la persona humana creada a imagen de Dios.

Pero no estamos reunidos por nosotros mismos precisamente. Es verdad que tratamos de conocernos mejor y entender mejor la identidad característica de cada uno y el íntimo vínculo espiritual que nos une. Pero al conocernos, descubrimos todavía más lo que nos ensambla para interesarnos más por la humanidad en general en campos, por citar sólo algunos, tales como el hambre, la pobreza, la discriminación allí donde se dé y sea la que fuera la persona contra quien se dirige, y las necesidades de los refugiados. Y claro está la gran tarea de fomentar la justicia y la paz (cf. Sal 85,4), señal de la edad mesiánica en ambas tradiciones judía y cristiana, enraizadas a su vez en la gran herencia profética. Este “vínculo espiritual” existente entre nosotros no puede menos de ayudarnos a afrontar el gran reto dirigido a los que creen que Dios tiene cuidado de su pueblo, al que ha creado a su imagen (cf. Gén 1,27).

Yo veo esto como realidad y promesa al mismo tiempo de diálogo entre la Iglesia Católica y el Judaísmo, y de las relaciones ya existentes entre su Organización y la Comisión para las Relaciones Religiosas con el Judaísmo y con otras instituciones de algunas Iglesias locales.

De nuevo les doy gracias de su vida y de su empeño por metas de diálogo. Seamos agradecidos a nuestros Dios, Padre de todos nosotr